Finale Emilia, pietra d'inciampo d'Italia grazie a Rubino Ventura
Nel Comune modenese tuttora ferito dal terremoto del 2012, la storia di un cittadino ebreo divenuto condottiero dei Sikh del Punjab sta trasformando la città in un esempio per le politiche di dialogo e memoria. Merito dell'Associazione Alma Finalis

Sotto le macerie fiorisce la memoria. Segnata indelebilmente dal terremoto del 20 maggio 2012, di cui è stata epicentro con una scossa di ben 5.9 magnitudo, Finale Emilia è la pietra d'inciampo di un'Italia che preferisce guardare altrove. Che tace pur sapendo. Che promette, ma non mantiene. Benché il portale Open Ricostruzione dell'Emilia Romagna attesti l'assegnazione alla città modenese di risorse pari a 447 milioni 386 mila euro circa, ripartiti in ben 1.138 progetti, la quota per gli interventi pubblici è la prova lampante di cosa significhi oggi tutelare uno dei centri più importanti della storia d'Italia e della cultura ebraica. Meno di 21 milioni di euro a disposizione, di cui neppure la metà pagati. Una ferita tamponata appena da altri 8.2 milioni di donazioni, giunti per lo più da semplici cittadini, ma che ancora brucia alla vista dei resti scomposti della Torre dei Modenesi, della Rocca Estense squartata, dello storico Palazzo dei Veneziani o della parte superiore del Duomo. "Il paese è abbandonato a se stesso, gli edifici pubblici ancora tutti chiusi e transennati" - hanno denunciato Stefano Lugli, Pierpaolo Salino, Elena Terzi e Andrea Ratti, consiglieri di minoranza - "Nonostante questo, chi governa da 4 anni e mezzo ha sempre sostenuto che la ricostruzione procedeva a gonfie vele, ignorando gli avvertimenti di un'opposizione che chiedeva perché alle promesse di apertura cantieri non seguissero mai i fatti". Lo scorso agosto la città è piombata nuovamente nello sgomento. I Carabinieri hanno compiuto un blitz in municipio per un'indagine sulle progettazioni dei Lavori Pubblici, settore al centro di un grande scandalo già nel 2015, culminato con l'arresto dell'allora responsabile Giulio Gerrini. In risposta il sindaco Sandro Palazzi ha snocciolato un lungo elenco di interventi, grazie a cui la cittadina, a suo avviso, ha potuto rimettersi in moto. Ma è la memoria pubblica che sta in realtà restituendo a Finale Emilia la consapevolezza di quello che è stata e che di nuovo potrà essere: il punto d'incontro e armonica convivenza della diversità etnica, culturale e religiosa.
PIETRE D'INCIAMPO E BUCHI DELLA MEMORIA
Il 27 gennaio 2019, in occasione del Giorno della Memoria, l'antico Comune di confine fra il Ducato di Modena e lo Stato Pontificio aveva commemorato due importanti concittadini, posando anche sul proprio territorio le pietre d'inciampo ideate da Gunter Demnig: una in ricordo di Ada Osima, farmacista deportata e scomparsa ad Auschwitz, l'altra per Emilio Castelfranchi, medico vittima delle leggi razziali fasciste del 1938. Insieme ad Angelo Fortunato Formiggini, editore di origine ebraica gettatosi dal campanile di Modena per protesta contro i soprusi razziali, sono fra i nomi oggi più conosciuti dai residenti, tragici testimoni della presenza dal 1585 di un'ampia comunità ebraica nell'area di Finale Emilia. Trafficatissima "città d'acqua", considerata la "Venezia degli Estensi", che negli anni bui del fascismo e del nazismo venne trasformata in una zona d'internamento di ebrei "stranieri", aiutati però dalla straordinaria figura di don Benedetto Richeldi, Giusto tra le Nazioni di Yad Vashem dal 1973 (cfr. "Bisognava farlo. Il salvataggio degli ebrei a Finale Emilia, Giuntina 2012, di Maria Pia Balboni). Al cimitero dei figli di David, però, qualcosa non torna. Sormontato da una stella a cinque punte nella quale è inscritta la parola "Shalom", il cancello d'ingresso svela un'oasi verde dove sono incastonate 58 lapidi: le ultime che attestano le oltre mille sepolture effettuate nel corso di quattro secoli, e di nuovo accessibili dallo scorso ottobre, fra le quali spicca una clamorosa assenza. Quella del generale Rubino Ventura, il cittadino più illustre di Finale, le cui vita ha rappresentato per anni un vero e proprio rompicapo.
UN "GIALLO" STORICO

Grazie ai meticolosi studi di Maria Pia Balboni, autrice della biografia "Il Generale Rubino Ventura, la straordinaria vita di un ebreo del Finale al servizio del maharaja Ranjit Singh" (Baraldini Editore, 2019), l'enciclopedia Treccani ha potuto aggiornare e completare in via definitiva il suo profilo solo lo scorso dicembre. La nuova edizione riprende il testo originariamente scritto nel 1993, muovendo da alcune tracce contraddittorie: "ha cercato perfino le sue vecchie ossa nel cimitero di Lardenne - scrive in riferimento all'autrice Giuseppe Pederiali, letterato e giornalista emiliano che ha curato la prefazione della sua opera - coinvolgendo custodi, storici locali, autorità. Forse, trovando la tomba di Rubino Ventura, le sarebbe sembrato di concludere nel modo e nel luogo più naturali un itinerario cominciato al Finale nella casa dove lui era nato, nella via che oggi porta il suo nome. Credo che raramente una ricerca storica sia stata più coinvolgente ed entusiasmante di quella compiuta (ma sarebbe meglio dire vissuta) da Maria Pia Balboni sulle tracce di Rubino Ventura". Poche, infatti, le notizie accertate sulla figura di questo illustre condottiero ed esploratore del lontano regno dei Sikh, nato il 25 maggio 1794 nell'arteria principale del ghetto di Finale, dove all'epoca risiedevano circa 200 persone costrette ancora a portare il segno, a rinchiudersi nottetempo in casa, alle quali era interdetto l'acquisto o l'affitto di stabili fuori dai confini assegnati, senza espressa licenza del Duca di Modena. Eppure, a quel tempo, molti di loro erano fidati commercianti, incluso il padre di Rubino, che dal proprio negozio di granaglie ricavava una cospicua rendita, oltre che onori tali da renderlo uno dei più stimati rappresentanti della comunità. Con l'avvento di Napoleone Bonaparte in Italia, gli ebrei poterono infine giovarsi di una libertà civile mai conosciuta prima, inserendosi a pieno titolo in quella rapida modernizzazione del territorio che la politica illuminista del Corso perseguì sin dai primi anni nella penisola. Fiammata che accese ovunque forti entusiasmi, soprattutto in un giovane scalpitante come Rubino, ma destinata ad essere soffocata dal ritorno delle forze conservatrici subito dopo la disfatta di Waterloo.
DISSIMULARE PER VIVERE

"Messami casualmente sulle orme di Ventura, un pomeriggio di agosto del 1988 - ricorda Maria Pia Balboni - ho vissuto in seguito con la sensazione che da quel giorno egli mi guidasse alla ricerca di se stesso, disseminando il mio percorso di indizi che mi spronavano a cercare e facendomi balenare intuizioni le quali - più dei documenti miracolosamente ritrovati quando era ormai perduta ogni speranza - mi incitavano a frugare in quella sua vita rigorosamente ammantata di riserbo, quasi volesse finalmente uscire allo scoperto, lui che aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a dare l'impressione di essere ciò che non era: ebreo per ascendenza ed educazione, si era spacciato per cattolico; italiano di nascita e sentimenti, aveva dato a intendere che era francese; volontario per pochi mesi nei Dragoni della Regina, aveva raccontato a tutti, anche agli amici più cari e addirittura a una sua figlia, di aver fatto quasi tutte le campagne al seguito di Napoleone, compresa quella di Russia. Al padre aveva taciuto il matrimonio celebrato a Lahore con un'armena, e agli amici più intimi non aveva mai svelato nemmeno il proprio nome, che era quello del capostipite di una delle dodici tribù di Israele: Reuben, in italiano Rubino".
L'EROE DEI DUE MONDI
Sono infatti le date anagrafiche a non convincere Maria Pia Balboni: come avrebbe potuto inseguire Napoleone sui campi di mezz'Europa, un ragazzino adolescente? Indubbie, però, le sue doti militari, visto che fra il 1822 e il 1841 Ventura contribuì in prima persona all'ampliamento dei territori Sikh nel Punjab, regno che all'epoca si estendeva dai confini nord-occidentali dell'India inglese alle remote tribù guerriere dell'Afghanistan. La storica finalese è riuscita a provare che il suo concittadino, pur avendo avuto solo una brevissima esperienza al servizio delle truppe napoleoniche, seppe farne tesoro per tutta la vita grazie all'amicizia col capitano Jean François Allard, militare francese di ben maggior esperienza, insieme al quale finì per mettersi al servizio del maharaja dei Sikh, dopo esser fuggiti entrambi dalle ritorsioni perpetrate contro i napoleonici (nonché gli ebrei) alla caduta dell'ultimo grande impero europeo. I due, affiancati in seguito da un'altra coppia di ex napoleonici composta dal napoletano Paolo Crescenzo Martino Avitabile e Claude Auguste Court, non solo raggiungeranno il grado di generali, ma trasformeranno l'esercito di Ranjit Singh in un'organizzatissima macchina militare-amministrativa capace di garantire al regno un periodo di straordinaria fioritura, nel quale convissero sikh, indù, musulmani, buddisti e cristiani. Come hanno ben messo in luce gli studi della storica Elena Bacchin, Ventura trovò anche il tempo di esplorare i territori di Ranjit Singh sino ai remoti regni himalayani di Mandi e Kulu, dedicandosi addirittura agli scavi archeologici.

Per primo individuò infatti l'importantissimo sito buddista di Taxila nei pressi di Manikyala e portò alla luce preziosi reperti della cultura Gandhara, parte conservati al Cabinet de Médailles et Antiques della Biblioteca Nazionale di Parigi, parte al British Museum di Londra. L'area a cavallo fra l'attuale Pakistan e Kashmir fu d'altra parte la culla ove nacque la corrente universalista del buddismo, detta Mahajana (Grande Veicolo), ma dove alcune tradizioni asiatiche riconoscono sia presente anche la vera tomba di Gesù, nei pressi di Srinagar. Grande ammiratore di Napoleone, il maharaja seppe ricoprire di grandi onori i suoi fidati europei, a tal punto che Rubino sarebbe poi stato in grado di aiutare - fra i tanti - anche i concittadini di Finale da cui era fuggito. Nel 1842, in occasione di una violenta alluvione del Panaro, fece infatti pervenire al Podestà una donazione di ben 3000 lire modenesi, ma quando rientrò dal Punjab ormai in mani inglesi scelse di vivere prima a Parigi (dove fu insignito della prestigiosa decorazione di Grand'Ufficiale della Legion d'Onore), poi nel suo castello a Lardenne presso Toulouse, morendovi infine nel 1858. La scelta di rimanere in Francia fu dettata non solo dalle opportunità economiche a lui dischiuse dal governo di Luigi Filippo, ma anche e soprattutto dal profondo attaccamento alla famiglia dell'amico Allard, deceduto nel 1839.
...Al mio arrivo a Lahore, ho sofferto terribilmente. Ahimé! In questa città nella quale credevo di ritrovare un amico, non ho trovato che una tomba; invece di stringere tra le braccia il mio fratello d'armi, non ho potuto fare altro che versare il mio pianto. E' stato verso la sua tomba, verso l'amico che gli antichi ricordi tanto mi fanno rimpiangere che il cuore mi ha subito trascinato, e quando, dopo questa triste cerimonia, ho ritrovato il tetto che ci ha visti per un così lungo tempo riuniti, il pianto è tornato ad inondare il mio viso..."
(lettera di Ventura a Benjamin Allard, 7 marzo 1839)
IL RITORNO DEI SIKH IN ITALIA

Tanta generosità di spirito, profusa per anni verso gli stessi Sikh, rivive oggi nella comunità da loro costituita nei pressi di Finale, grazie ai legami consolidatisi dopo l'intervento delle truppe inglesi sul Panaro nel 1945 e il conseguente tracollo dell'esercito tedesco in Italia nella Seconda Guerra Mondiale. La donazione alla città di un uno splendido bassorilievo in legno commissionato da Bobby Singh Bansal, storico Sikh entrato in contatto con Maria Pia Balboni durante le ricerche su Rubino Ventura e al quale ha voluto dedicare l'opera il 26 maggio 2019, non è che il suggello di un processo d'integrazione culturale consolidatosi negli ultimi trent'anni. "Si tratta di una comunità numerosa - ha osservato Francesca Panozzo, autrice della tesi "La comunità Sikh di Montichiari. Autorappresentazione e raggigurazione del contesto migratorio" - ma pressoché invisibile a causa della professione e della sistemazione abitativa di molti di loro. Uno dei miei obiettivi è proprio quello di dare visibilità a questa comunità, sondandone la condizione lavorativa, il progetto migratorio, la percezione del contesto locale in cui sono immersi; il tutto, cercando di evitare il rischio di etnicizzazione, processo di cui questa comunità è spesso oggetto, non solo nella percezione degli altri abitanti, ma anche nella stampa locale e nazionale".
LE 5 K
Il Sikhismo, culto monoteista ispirato agli insegnamenti di dieci guru e simbolizzato dalle "5 K" (Kesh, capelli lunghi da non tagliare mai, Kanga, piccolo pettine di legno da portare sempre con sé, Kara, braccialetto distintivo in ferro, Kachera, sottoveste tipica e Kirpan, pugnale sacro che ne ricorda la tradizione guerriera), è originario del Punjab, ha nella città di Amritsar il suo centro più sacro e conta in Italia oltre 85mila fedeli rappresentati dalla Sikhi Sewa Society. Benché a Novellara (RE) si trovi il loro tempio principale - il secondo più grande d'Europa - i Sikh italiani sono distribuiti principalmente fra le province di Modena, Cremona e Brescia. Nel Punjab l'agricoltura occupa il 70% della popolazione, in grado di rifornire di latte l'intera India, ma il flusso migratorio Sikh permette anche all'Italia di mantenere in vita il sistema caseario nazionale, soprattutto per quanto riguarda la produzione del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano (secondo Coldiretti, sono 3.500 gli indiani che lavorano nelle 4.000 stalle emiliane, con un rapporto di un lavoratore su tre nella filiera del latte).
DISCRIMINAZIONE E INTEGRAZIONE
Stando alle dichiarazioni rilasciate alla piattaforma Peridirittiumani.com da Jaspreet Singh, esponente della Sikhi Sewa Society, il processo d'integrazione presenta però notevoli resistenze. "Subiamo ancora discriminazioni, soprattutto quelli a contatto diretto col pubblico, ad esempio banche, poste, Comuni...dove nonostante le qualifiche, non si riesce a ottenere un posto. Questo è un problema reale che le seconde generazioni stanno affrontando. Poi ci sono le discriminazioni a livello individuale, fortunatamente meno frequenti, che capitano quando le persone non sanno di avere di fronte un Sikh e ci scambiano per terroristi". Fenomeni confermati da Kulwinder Singh, residente a Castelfranco Emilia e fondatore del tempio locale. "E' successo persino che un pullman di fedeli Sikh in pellegrinaggio, con l'immagine di un nostro guru appeso al finestrino, venisse scambiato per un gruppo di terroristi che inneggiavano a Bin Laden. Fermati dalla polizia, sono stati bloccati per ore, perquisiti e identificati fino a quando, capito l'errore, dopo mille scuse hanno potuto proseguire". Una delle principali richieste al governo italiano riguarda infatti il riconoscimento ufficiale della religione Sikh, la quinta più diffusa al mondo. Prendere le mosse dalla storia di Rubino Ventura, così come dall'esempio di convivenza raggiunto a Finale Emilia fra cristiani, ebrei, sikh e musulmani, potrebbe rappresentare il punto di riferimento per una politica della memoria "storicizzante", in grado cioé di comprendere gli eventi nella complessità dei percorsi evolutivi su lungo termine, e al contempo di un dialogo interetnico consapevole delle differenze cognitive. A entrambi sta certo contribuendo l'opera divulgativa della Sikhi Sewa Society o di docu-film di sensibilizzazione come "Il vegetariano" di Roberto San Pietro, ma altrettanto importante è la sottile e paziente trama intessuta dall'associazione culturale Alma Finalis, fondata da Maria Pia Balboni nel 2014 e oggi partner anche della rete di collaborazione Casa degli Esploratori. Grazie al suo impegno, Finale Emilia, Lahore in Pakistan e Saint-Tropez in Francia sono state fra loro collegate in virtù di una memoria storica che non si manifesta solo attraverso monumenti celebrativi e riflessioni su ricorrenze puntuali, ma anche e soprattutto mediante il coinvolgimento attivo delle rispettive comunità. Le truppe napoleoniche sono ormai lontane, le corone cadute, smantellati i treni nazisti della morte, per quanto in grado di riapparire ancora sotto mutate forme. Nell'aria, solo l'inestinguibile urlo della Rivoluzione: "Liberté, égalité, fraternité!".
Alberto Caspani
Dirò prima di tutto come un buon numero di Italiani che si trovavano a Parigi nel tempo in cui gli esuli nostri erano sparsi ai quattro venti della terra...hanno parlato con me e m'han narrato le lunghe conversazioni avute con Ventura in proposito delle sventure e delle speranze italiane. E mentre me lo hanno dipinto amorevole e benefico con quanti avevano sofferto per la santa causa della nostra indipendenza, hanno affermato nutrire esso i sentimenti i più generosi e parlare con tanto calore della nostra rigenerazione da mostrare chiaramente come la patria lontana gli sia scolpita nel cuore e come a rialzarla dal giogo straniero esso volentieri offrirebbe le forze e l'ingegno..."
(manoscritto anonimo, Dossier Ventura, ACF)