São Tomé & Principe: in bilico sull'equatore
Giro di boa dell'Atlantico, il minuto arcipelago nel Golfo di Guinea è stato per secoli uno scalo strategico fra Africa e Brasile. Oggi le sue risorse e il suo territorio vergine accendono di nuovo gli interessi internazionali, ma i discendenti degli schiavi hanno ormai fatto tesoro della propria tragica storia
Tutto sa il piccolo forte di São Sebastiao, per quanto se ne stia appartato e silenzioso sotto lo sguardo arcigno dei tre scopritori di São Tomé. Non ha dimenticato nulla: le urla nelle orecchie. L'urina negli occhi. Le scariche elettriche nei genitali e il massacro di Batepà. Negli anfratti delle sue sale altisonanti sono nascoste carte che farebbero impallidire il più bieco dei negrieri, perché ogni chicco di caffè qui setacciato, ogni grammo di cacao sudato alla terra, sono immancabilmente figli della frusta e delle catene. Inutile che la statua di Pedro Escobar ora storca il naso. O che João de Paiva finga di volgere la testa al mare. Né il suo collega João De Santarém trova il coraggio di ribattere alcunché.
Sin dal primo giorno in cui il trio mise piede sugli scogli africani, un sorriso perfido ha increspato le onde: confinare ebrei o criminali all'ombra del fallico Pico Grande valeva assai meno che mettere a frutto il fertile terreno vulcanico. E si sa: un'isola costellata di piantagioni significa economia in grande scala, commercio, anime alla deriva. Proprio per questo la cricca andrebbe però processata per induzione allo sfruttamento geografico di entità minorili: difficile immaginare come due isolette, larghe appena un migliaio di chilometri quadrati, siano state in grado di sfamare per decenni mezzo mondo. Certo è che gli assetati galeoni di tutt'Europa non potevano fare a meno di passare da qui: se oggi sono i surfisti a sfruttare lo slancio delle forti correnti atlantiche, ai tempi della tratta le navi veleggiavano verso l'arcipelago quasi per inerzia.
Si vociferò di una maledizione vudù, ma gli iettatori avevano preso un granchio colossale: Sao Tomé è come una boa magnetica al largo del Golfo di Guinea, dove le acque ripiegano su se stesse, solo per ritrovare la giusta spinta con cui aggredire le coste americane. Ma dove cascate impetuose e fiumi tentacolari sono anche capaci di addolcire il sale delle ferite. L'arcipelago africano è pronto a riprendersi tutto quanto gli spetta: la recente scoperta di giacimenti petroliferi off-shore promette una rivoluzione che neppure gli incalliti marxisti del Movimento per la Liberazione di Sao Tomé e Principe riuscirono ad immaginarsi nel lontano 1975, anno in cui ributtarono a mare i coloni portoghesi. L'euforia è quasi palpabile nell'aria umida della capitale; cinge ogni cosa come la placenta di una madre infine sgravata: si sentono i giovani ridere e cantare, ad ogni angolo aprono atelier d'arte e nuovi uffici, il turismo freme per accogliere volti freschi. Sì, il vento è davvero cambiato. Dal Portogallo non arrivano più nobili presuntuosi, ma coppiette un po' squattrinate in cerca della loro grande opportunità, mentre i fratelli dell'Angola inviano aiuti e investono capitali. Sulle mappe del Brasile è apparso di nuovo quel curioso scoglio che tanti natali ha donato ai suoi vecchi cittadini. Dal canto loro gli Stati Uniti hanno immediatamente installato una stazione radio per far felici i pescatori un po' duri d'orecchi, ma assai più le sale oscure del Pentagono. Power of the black gold.
Su tutti è però l'Italia ad avere sorprendentemente un asso nella manica. O forse due. Grazie alla sua esperienza trentennale nelle tecniche di lavorazione agricola in territori tropicali, il fiorentino Claudio Corallo ha messo radici a Sao Tomé già da lungo tempo, rilevando e portando agli antichi splendori due importanti piantagioni dell'arcipelago: Nova Moca, proprio nel cuore dell'isola madre, e Terreiro Velho, sull'affioramento di Principe. La qualità eccelsa della sua produzione, oltre a premiarlo come console onorario italiano a Sao Tomé&Principe, lo ha trasformato in uno dei nomi più illustri nella produzione mondiale di cacao e caffè: non a caso i suoi impianti di fabbricazione, nella capitale così come nell'entroterra, sono diventati attrattive irrinunciabili per comprendere l'evoluzione del sistema delle roças, oltre che veri e propri modelli imprenditoriali.
"I complessi abitativi costruiti dai Portoghesi sui terreni coltivati nell'Ottocento stanno tornando ad essere l'asse portante della nostra economia - ha riconosciuto Isaura Carvalho, proprietaria della tenuta di Sao João Dos Angolares - ma in modo del tutto originale: oggi non sono più strumenti di sfruttamento della manodopera locale, quanto piuttosto centri agricoli sostenibili attraverso cui formare la nuova elite culturale del Paese. Insieme a mio marito João Carlos, giornalista affermatosi a Lisbona e ora rinomato chef, vorremmo recuperare e far interagire quasi tutte le cento roças presenti nell'arcipelago, aprendole di fatto al pubblico. E piano piano qualcosa si sta muovendo nei centri maggiori, visto che già oggi è possibile esplorare Sao Tomé alloggiando nelle tenute più grandi. La fine della loro nazionalizzazione ha dischiuso enormi opportunità e l'esempio d'iniziativa privata messa in campo anche qui a João Dos Angolares è sicuramente servito per offrire una linea di sviluppo ai nostri concittadini. Senza un vero investimento da parte del governo i tempi di recupero potrebbero però essere molto lunghi".
La grande proprietà a sud di São Tomé è una vera e propria fucina d'idee in ebollizione: l'antica villa padronale è stata riconvertita in una deliziosa pensione dov'è possibile pernottare riassaporando le atmosfere coloniali d'inizio secolo scorso; attorno, i campi producono cibo fresco per una cucina che, finalmente, celebra le virtù del meticciato senza più complessi d'identità, mentre i magazzini abbandonati hanno accolto una scuola materna. Persino il decrepito ospedale presso cui un tempo venivano curati gli schiavi, in modo tale che non avessero l'opportunità di fuggire dalla roça, sembra destinato a rinascere come laboratorio sperimentale d'arte o come scuola di danze tradizionali.
Anche in questo caso molto potrebbe dipendere dal modo in cui saprà muoversi l'Italia. "Sono arrivato a São Tomé quasi per caso - ammette Mauro Corbani, pittore e incisore sperimentale di Scarlino - dal momento che per ragioni familiari ho improvvisamente iniziato a frequentare l'isola. Il suo fervore creativo mi ha lasciato sbalordito: grazie a João Carlos qui ha preso piede addirittura una biennale d'arte che raccoglie i talenti emergenti di tutti i Paesi lusofoni, ma guarda anche, con vivo interesse, alle contaminazioni con il resto d'Europa. Per questo motivo lavoro affinché pittori, scultori e creativi italiani aprano São Tomé a una dimensione ancor più complessa e internazionale".
Già molto ha comunque fatto l'effervescente spazio Cacau, la vecchia stazione dei treni della capitale riconvertita in un'enorme piattaforma artistica, dentro la quale i colori delle tele prendono forma a passo di Tchiloli, sarti e artigiani fanno sbocciare orchidee selvagge nei materiali di recupero, lasciando che i filmati in bianco e nero riportino sui binari le canzoni ritmate a colpi di machete. Ma non è solo dai colori pastello delle architetture coloniali o dei mercati popolari che trae ispirazione il genio di São Tomé; la sua incredibile biodiversità, superiore addirittura alle Galapagos, è forse pari solo agli incroci di sangue dei suoi cittadini, nei quali si fondono linguaggi creoli attinti da ogni porto.
Alberto Caspani
EQUILIBRI PRECARI
Darwin si starà mangiando le mani. I recenti studi sulla biodiversità di Sao Tomé&Principe hanno rivelato una complessità d'habitat e di specie tale da lasciare i ricercatori internazionali a bocca aperta: le variazioni microclimatiche delle due isole, favorite dalla presenza di alti picchi vulcanici in prossimità dell'Equatore, danno infatti vita alla seconda area di maggior interesse scientifico in rapporto alle 75 più importanti foreste africane. In una manciata di chilometri quadrati si contano ben 983 specie animali e vegetali (136 delle quali endemiche), fra cui le "preistoriche" felci giganti, i cocumbas, ovvero gli unici pesci in grado di respirare sia in acqua sia in superficie, o ancora il rarissimo frusone thomensis (un uccello di dimensioni estremamente piccole). Lo studio dell'isola non è ancora completo, dal momento che l'intera costa occidentale è ancora poco esplorata e priva d'insediamenti umani: le incantevoli spiagge sabbiose, alternate a quelle di roccia vulcanica, presentano oltretutto una conformazione protetta che facilita la nidificazione di molte specie esogene, così come la possibilità di nuotare in pieno Atlantico senza alcun rischio. remamente piccole).