Il Canale di Suez e il sogno di Manfredo Camperio (Egitto)
Area pivot della Nuova Via della Seta Cinese, l'idrovia egiziana rappresenta ancor oggi la più grande opportunità per riportare l'Italia al centro del Mediterraneo e delle relazioni internazionali. Manca, però, la grande visione strategica dell'esploratore milanese che partecipò alla sua inaugurazione

Sfiorato appena dalle conseguenze della pandemia da Covid19, e a un anno esatto di distanza dal 150° anniversario dall'inaugurazione, il Canale di Suez resta l'ago della bilancia della geopolitica mondiale.
Le cifre altisonanti snocciolate da Osama Rabie, il presidente della Suez Canal Authority che il 17 novembre 2019 aveva raccolto i vertici del traffico marittimo per la cerimonia commemorativa ad Ismailia, sono in crescita persino nell'annus horribilis dell'economia globale. "Da gennaio a settembre 2020 sono transitate fra Mediterraneo e Mar Rosso ben 14.019 navi, cioé 165 vascelli in più rispetto alla stagione precedente. Dato ancor più eclatante, hanno rivolto la prua all'Egitto persino i nuovi giganti degli oceani. Quest'anno Suez ha infatti accolto il cargo più grande del mondo, lungo 400 metri, con una larghezza massima di 61 e profondità di 33.2 metri, capace di sostenere un carico di 23.964 container dal peso di 240mila tonnellate". Un autentico mostro delle acque.
Sono proprio le dimensioni leviataniche ad ovviare oggi ai possibili ostacoli della navigazione, rappresentati da chiusure impreviste dei confini nazionali o stop di produzione. Meno corse, purché più redditizie. Non è il caso di Suez, premiato anche dalle nuove regolamentazioni del mercato, perché più severe dal punto di vista fiscale con chi inquina attraverso viaggi lunghi e rischiosi. Tempi magri, invece, per la concorrenza: Capo di Buona Speranza ha finito per perdere un cliente ricco e "sostenibile" come Ikea, a favore proprio dell'Egitto, mentre Cape Hoorn, già messo a dura prova dal Canale di Panama e dalla possibile apertura di una seconda idrovia in Centro America, non è riuscito a capitalizzare la visibilità portata nel 2020 dai 500 anni dalla prima circumnavigazione di Magellano e Pigafetta. L'unico vero grattacapo per i piani del Cairo, a breve termine, potrebbe giungere dalla definitiva liberazione dai ghiacci della Northern Sea Route, benché l'oceano Artico sia uno scacchiere politico ancora troppo complesso per le esigenze del commercio.
L'ammiraglio Rabie si è detto certo che "il Canale di Suez sarà in grado di raggiungere una media giornaliera di 95 navi in transito entro il 2023, grazie soprattutto agli ingenti investimenti che continuano a essere dirottati sull'Egitto orientale". Suez, nei prossimi anni, diverrà a pieno titolo il nuovo Nilo della Terra dei Faraoni. I numeri presentati alla cerimonia di Ismailia danno ragione all'ammiraglio: a partire dall'inaugurazione dell'opera nel 1869, il ritorno per le casse dell'Authority ha raggiunto l'impressionante cifra di quasi 136 miliardi di dollari, con una media ormai acquisita di 6 miliardi all'anno. Il 9% del traffico mondiale, d'altra parte, ha nel Canale un suo punto di riferimento imprescindibile: in appena 14 ore per 193 km di tracciato - attestano i dati del World Shipping Council - l'idrovia accorcia la distanza fra Londra e il Golfo Persico del 43%, permettendo di risparmiare ben 10 giorni sulla circumnavigazione dell'Africa rispetto ai 24 richiesti.

Manfredo Camperio, oggi, si mangerebbe le mani. A differenza delle autorità italiane, assenti lo scorso anno allo storico appuntamento di Ismailia, il grande geografo ed esploratore milanese fu in prima linea sin dagli albori. Visitò il Canale addirittura in anticipo sull'apertura, comprendendone immediatamente le enormi potenzialità, ma soprattutto il contributo economico che avrebbe potuto portare all'Italia in quanto testa di ponte del Mediterraneo. Partito dal capoluogo lombardo il 26 marzo 1868 per un viaggio diretto a Ceylon e in India, il 2 aprile era già sbarcato ad Alessandria d'Egitto. Si lasciò incantare dall'obelisco di Cleopatra e dalla Colonna di Pompeo, ma fu la visione del canale che collegava il Nilo alla città - rifiorita grazie ad esso e all'intraprendenza di Mehemet Alì - a fargli intuire il valore delle grandi infrastrutture per il fiorire del commercio. Dopo una rapida visita al Cairo e dintorni, arrivato a Suez inviò subito un resoconto al quotidiano "La Perseveranza", colpito dalla quantità di concittadini di Ivrea, Cuneo, Varese, ma anche di Vicenza, Lucca e Ancona, impegnati alacremente nello scavo dell'opera.
Il commercio possibile per l'Italia con Suez sarebbe quello del riso di prima qualità essendo l'indiano molto scadente, farine, formaggio, frutta secca, farina di grano turco, calce idraulica di Palazzolo, legna da costruzione del Cadore, mattoni di Salerno, e naturalmente per la via di Porto Said, come la merce dispendiosa. I bastimenti a vela che porterebbero a Porto Said queste mercanzie potrebbero ritornare con carico di cotone di Bombay o dell'Egitto, comperato a Zagaziz sul canale di acqua dolce e consegnato a Porto Said dalla compagnia stessa del canale, e che già trasporta carbon fossile, viveri, foraggi per gli inglesi
Manfredo Camperio, missiva del 10 aprile 1868
Camperio si accorse infatti del ritardo dell'Italia nel coinvolgimento dell'impresa rispetto agli altri grandi Paesi europei, già particolarmente attivi e dinamici in Egitto, sebbene non potessero contare su una comunità di residenti e lavoratori tanto importante quanto quella italiana. Inevitabile una nuova missiva a "La Perseveranza", anticipo delle ben più approfondite analisi che dal 1877 avrebbe consegnato a "L'Esploratore" - il primo giornale italiano di viaggi e geografia commerciale da lui fondato - così come alla Società d'esplorazione commerciale in Africa (1879).
"Verso il nord di Suez, una società francese ha preso l'appalto di un gran serbatoio, che con una macchina idraulica darà l'acqua per tutta la città, agli opifizzi ed ai bastimenti in rada. Dicono che è un'eccellente operazione; io non me ne intendo: quello che so è che fra pochi mesi Suez avrà ciò che non abbiamo noi a Milano, dove si annaffiano ancora le strade colla giorgia".
Un'impressione di simile inadeguatezza, 150 anni dopo, ha allarmato i rappresentanti dell'Associazione Culturale Gaetano Osculati, in missione in Egitto per celebrare il ricordo di Manfredo Camperio e di tutti gli italiani che contribuirono alla realizzazione del Canale. A seguito della rimappatura delle orme dell'esploratore, che dopo la cerimonia ufficiale ebbe oltretutto modo di prendere parte a un esclusivo "Itinéraire des invités" sul Nilo di quasi un mese (cui si unì anche il capitano Enrico Alberto D'Albertis), è stato possibile soppesare l'enorme impatto della Suez Canal Economic Zone: 461 kmq di territorio franco (circa 2/3 delle dimensioni di Singapore) dov'è stata prevista "la creazione di due aree integrate e di due di sviluppo economico per il commercio, l'industria, la logistica e l'edilizia residenziale - ha spiegato Yehia Zaki, presidente della SCZone - nonché di quattro nuovi porti operativi: West Port Said, Adabiya Port, Al Tor Port e Al Arish Port, attraverso cui puntiamo ad accrescere la capacità di gestione del traffico marittimo internazionale, offrendo al contempo servizi connessi come la costruzione di navi, lo stivaggio, il bunkering, lo smantellamento dei vascelli e il riciclo".
Il sito di Ain Sokhna, 43 km a sud di Suez, è destinato a trasformarsi in un nuovo hub logistico e industriale, benché 162 dei 210 kmq dell'area siano votati al rilancio del manifatturiero. Il nuovo porto ha la funzione di facilitare tutte le operazioni di transito grazie alle più avanzate tecnologie di settore. All'estremo opposto del Canale, sulla costa mediterranea, East Port Said replicherà gli stessi servizi e fungerà da zona di smistamento del traffico fra il Sinai e l'area del delta nilotico, disponendo inoltre di impianti energetici e per la desalizzazione. Qantara West, 30 km a nord di Ismailia, si configura invece e principalmente come nuova zona di insediamento residenziale, forte della vicinanza a una delle aree più fertili del grande fiume egiziano, nonché delle opportunità di agribusiness. East Ismailia, 10 km a est dalla storica cittadina al cuore del Canale, è infine chiamata a dar vita a un polo per l'innovazione tecnologica e per la ricerca scientifica, garantendo il decongestionamento del traffico sull'asse stradale est-ovest, mediante la creazione di un tunnel sotto il Canale, analogo a quelli di Suez e Port Said. "Le condizioni offerte ai capitali d'investimento sono indubbiamente appetibili - ha sottolineato Yehia Zaki - dal momento che le compagnie interessate ad installarsi nella SCZone possono restare di proprietà straniera al 100%, senza dover soddisfare requisiti minimi di capitale. Saranno oltretutto titolari dei diritti di usufrutto delle superfici per 50 anni, con opzione rinnovabile".
Di fronte a tanto dinamismo l'Unione Europea non è stata a guardare e, attraverso il presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD) Suma Chakrabarti, ha delineato a settembre un percorso di collaborazione per il quinquennio 2020-2025, analogamente a quanto stanno facendo da tempo le compagnie inglesi col progetto "Vision 2030". Il Regno Unito, secondo le stime del Ministro egiziano per gli investimenti Sahar Nasr, rappresenta infatti il principale investitore nella Terra dei Faraoni, con 47.4 miliardi di dollari investiti in 1.816 società britanniche. A partire dal lancio nel 2016, la SCZone ha generato un giro d'affari pari a 509 milioni di euro, oltre ad aver già messo sul piatto 12.7 miliardi di investimenti per i prossimi cinque anni, parte dei quali previsti per il potenziamento della rete stradale Cairo-Cape Town: il grande sogno dell'impero di Sua Maestà.
Eppure gli inglesi, nell'Ottocento, non furono affatto entusiasti della creazione del Canale, temendo l'intraprendenza francese dell'imprenditore Ferdinand de Lesseps col khedivé d'Egitto, in un'area cruciale per i propri domini africani e asiatici. Si ricredettero poi, quando l'opera venne portata a termine da una cordata internazionale di investitori e ingegneri, le cui punte di diamante furono Pietro Paleocapa e Luigi Negrelli: le due menti che elaborarono il progetto definitivo per la realizzazione dell'opera. Sommerso dai debiti accumulati durante la costruzione, già nel 1875 il reggente egiziano Ismail Pascià fu costretto a vendere per 4 milioni di sterline le sue quote di proprietà. Londra si avventò sull'occasione, ottenendo il massimo risultato col minimo sforzo e, soprattutto, senza doversi opporre direttamente ai francesi. Dopo 10 anni di estenuanti lavori conclusi grazie al contributo di quasi 4000 operai specializzati italiani, e trascorsi appena 6 anni dall'entrata in funzione del Canale, l'acquisto delle azioni regalò in tal modo al Regno Unito il pieno controllo della Rotta delle Indie. Gli inglesi se ne sarebbero andati solo nel 1956, in seguito alla nazionalizzazione del Canale da parte del presidente egiziano Nasser, ma sino ad oggi sono riusciti a tenere sempre un piede in gioco, nonostante l'indebolimento dei propri interessi e la parziale occupazione israeliana del Canale dopo la Guerra dei Sei Giorni. Chiedere conferma ai datori di lavoro di Giulio Regeni, vittima d'interferenze politiche che vanno ben al di là delle sue ricerche universitarie e che non sono estranee agli obiettivi di sabotaggio dei rapporti fra Egitto e Italia, Paese storicamente troppo vicino al Canale per non infastidire le grandi potenze di ieri e di oggi.
Tre anni fa Suez contava 6.000 abitanti, che dovevano aspettare tutti i dì l'acqua, che veniva a bordo di cammello dal Cairo. Ora Suez fa 21.000 abitanti e fra due anni, quando i grossi bastimenti a vapore anderanno da un mare all'altro, chi sa l'aumento che potrà avere, perché i bastimenti o poco o tanto bisognerà sempre che s'arrestino a questa baja, per lasciar passare gli altri e per far acqua, per lasciar giù i passeggeri, per provvedersi di nuove provvisioni, ecc...
Manfredo Camperio, missiva del 13 aprile 1868
Lasciati alle spalle gli sforzi bellici di Mussolini per ritagliarsi un posto al sole sul Canale, azzittiti tragicamente quelli di Enrico Mattei per emancipare l'Egitto dal controllo delle grandi potenze, di tricolore, per ora, restano le navi da crociera. L'ultima ad aver messo in apprensione è stata la Costa Diadema, di ritorno lo scorso marzo dagli Emirati Arabi Uniti con a bordo 65 positivi al Covid19. L'impressionante livello di organizzazione del Canale, che dal 2016 può contare anche su un secondo tronco di decongestionamento lungo 35 km, non teme però rallentamenti di sorta, a tal punto che su di esso continua a scommettere con decisione la Cina, fiancheggiata dalla Russia. Due nomi capaci di risvegliare i peggiori incubi dell'Alleanza Atlantica e che neppure la pandemia sembra esser stata in grado di arrestare. Entrambi i Paesi hanno ormai consolidato in Egitto due proprie zone economiche speciali, legate alla spinta propulsiva della Nuova Via della Seta (BRI). Progetto che a Pechino lega ben 137 nazioni, per una concentrazione complessiva di capitali pari a 8mila miliardi di dollari, secondo le stime dell'Osservatorio di Economia Marittima (SRM). "Il Nord Africa rappresenta un'area pivot nel disegno complessivo della Belt&Road Initiative - si legge nel report - dal momento che i suoi Paesi possono servire come area di produzione per i mercati europei, come scalo logistico sia per l'Europa che per l'Africa sub-sahariana, ma anche come hub energetico per il petrolio, il gas e le energie rinnovabili. Quest'ultimo, in particolare, è il settore-obiettivo per gli investimenti cinesi nel progetto, che entro il 2040 puntano a importazioni di petrolio pari a 12.4 milioni di barili al giorno, oltre che alla quadruplicazione dei quantitativi di gas naturale liquefatto".
Prima dello scoppio della pandemia, la Cina appariva lanciata in modo inarrestabile verso il completo superamento dell'economia statunitense, dopo circa 60 anni d'incontrastata egemonia a stelle e strisce. Partendo dall'analisi della ricchezza della classe media, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale avevano infatti previsto nel 2024 il raggiungimento da parte cinese del più alto PIL pro capite al mondo. Dopo domani, praticamente. Sull'Asia Times, un ampio servizio dell'economista Dipil Hiro aveva provato anche a riassumere le tappe fondamentali della nuova Lunga Marcia: "Uscita quasi indenne dalla recessione globale 2008-2009, provocata dalla truffa dei subprime Usa che ha rallentato le economie occidentali, nell'agosto 2010 la Cina ha sostituito il Giappone come seconda economia mondiale. Nel 2012, con 3,87 trilioni di dollari di importazioni ed esportazioni, ha superato il totale degli Stati Uniti (3,82 trilioni). Alla fine del 2014, il Pil interno cinese, misurato in base alla parità del potere di acquisto, ha raggiunto i 17,6 trilioni di dollari, superando di poco i 17,4 trilioni degli Stati Uniti, che erano la più grande economia del mondo dal 1872". Non ha usato mezzi termini neppure Bruno Guige, autore dell'intervento "La Cina senza paraocchi": "Sulla scena mondiale la Cina non impone alcune embargo o sanzione ad altri Stati sovrani e si rifiuta di immischiarsi nei loro affari interni. Il contrario degli Stati Uniti e dei loro alleati europei, che intervengono in casa d'altri con falsi pretesti e in flagrante violazione del diritto internazionale. (...) Il pacifismo cinese è il rovescio della medaglia del suo successo economico, mentre la prassi guerrafondaia degli Stati Uniti è un riflesso del loro declino. Invece di fare guerre vivendo a credito, la Cina ha fatto affidamento sul suo know-how per sviluppare il suo tessuto economico e il risultato è stato palpabile".
Agli Stati Uniti e ai suoi alleati-satellite non restano oggi che due settori strategici per far fronte all'onda cinese. Quello militare, dove gli investimenti americani ammontano ancora a 2.187 dollari pro-capite l'anno contro i 141 dollari cinesi, disponendo oltretutto di 275 basi all'estero contro una sola di Pechino (non casualmente, a Gibuti, sulla rotta per Suez), e quello finanziario. Per ora la pandemia si è rivelata uno straordinario volano per quest'ultimo, premiando soprattutto i capitali legati alla digitalizzazione e al Green New Deal contro quelli dell'economia tradizionale, ma qualora la spinta non dovesse essere sufficiente a scongiurare il sorpasso cinese del 2024, il mondo dovrebbe iniziare a temere il peggio: se Pechino ha aperto alla finanza il proprio mercato per influenzare le scelte geopolitiche di chi fa affari grazie ai suoi asset produttivi, come messo in evidenza dall'economista Carlo Pelanda, non è detto che le lobbies conservatrici degli Stati Uniti accettino di essere scalzate senza colpo ferire. Analogamente, la Cina ha più volte dimostrato di assecondare la svolta green e digital della finanza, a patto di esserne alla guida e ottenere vantaggi nazionali. Secondo un'analisi del Sole24Ore, solo una seconda e prolungata pandemia potrebbe davvero riaprire la partita e tardare il temuto "power shift" (trasferimento di potere) da Occidente a Oriente. Ma si sa: la finanza non guarda in faccia a nessuno e va semplicemente dove trova le condizioni migliori per autoalimentarsi.
Il problema, per gli Stati Uniti, è che l'Impero Celeste sta vincendo anche sul fronte tecnologico. Grazie al piano "Made in China 2025", lanciato dal governo di Pechino nel 2015, l'high-tech continua a fare passi da gigante: entro la metà del secolo, il colosso asiatico potrebbe raggiungere il 70% dell'autosufficienza tecnologica. Già oggi, inoltre, è leader mondiale nell'elettronica di consumo (5G incluso), mentre nel 2019 ha realizzato persino il sorpasso sugli Usa nella produzione annuale di brevetti (58.990 domande nel 2019, contro le 57.840 americane). A detta di Leigh Wedell, autrice dello studio "China is giving ancient silk road trade routes a digital makeover", "stiamo entrando in una guerra fredda tecnologica, di cui la Via Digitale della Seta cinese è l'epicentro", soprattutto in virtù della rete di telecomunicazione 5G e dell'estensione della fibra ottica: due risorse che ben si prestano all'aumento del controllo e del condizionamento delle vite private, ma anche dei dati sensibili nazionali. Se le reti saranno unificate su scala globale, il detentore della tecnologia disporrà di un potere mai visto prima nella storia dell'uomo; se sviluppate in contrapposizione, cioé reti occidentali contro reti cinesi, i costi di produzione e gestione aumenteranno notevolmente, creando potenziali cortocircuiti di comunicazione fra i due blocchi. Onde non trovarsi repentinamente proiettati in fatidici war games, viste le esercitazioni militari sul Mar Rosso in cui la Francia, nel 2018, ha coinvolto l'Egitto, l'alleanza sino-russa ha mosso passi decisivi anche in questa direzione: Rosatom, corporation russa votata al nucleare, è stata incaricata di costruire a Dabaa, sul Mediterraneo, una centrale a quattro reattori in grado di produrre 4,800 Megawatt, per una spesa complessiva di 45 miliardi di dollari (che l'Egitto potrà rimborsare in 22 anni a partire dal 2029). Al contempo, ha reso noto l'agenzia di stampa RIA Novosti, la Russia ha siglato col Sudan una bozza d'accordo per aprire una base militare al centro del Mar Rosso. La costruzione è prevista nei pressi di Port Sudan, a poca distanza dal porto di Haidob, dove la Cina alimenta il commercio locale del bestiame.
Per ora, comunque, il trasporto marittimo continua a rappresentare il principale "veicolo" di sviluppo del commercio internazionale: "il 90% delle merci viaggia via mare - ha confermato anche l'ultimo rapporto "Italian maritime economy" del SRM - i trasporti marittimi e la logistica valgono circa il 12% del Pil globale, mentre le previsioni al 2024 stimano un superamento dell'attuale situazione e una crescita della movimentazione container a livello mondiale del 3.5%, fino ad arrivare a 951 milioni di TEU".
Il calo delle containership sul Canale di Suez, provocato dall'irrompere della pandemia (-15% nei primi 5 mesi), è stato infatti bilanciato dal consistente aumento dei transiti di navi di altri settori: oil (+11%) e dry (+42%). Ciononostante il report sostiene che "su 2.951 progetti della BRI, per un valore di 3.87 trilioni di dollari, il 20% risulta gravemente colpito da Covid19". Anche in questo caso, la Cina è riuscita a bilanciare le momentanee perdite marittime attraverso un sensibile aumento del trasporto ferroviario verso l'Europa e viceversa, toccando la quota record di 1.232 convogli a luglio (+68% rispetto al 2019). Merito della sua strategia di diversificazione degli investimenti, che fa in realtà della Nuova Via della Seta una ragnatela di Vie.
L'Italia, la cui bilancia verso la Cina pende soprattutto sul piatto delle importazioni (saldo commerciale negativo di 12.7 miliardi), nel primo semestre 2020 ha subito un calo dell'import-export del 21%, confermando però la sua leadership nel Mediterraneo per quanto riguarda lo Short Sea Shipping (246 milioni di tonnellate di merci trasportate, pari al 39%): un risultato che dovrebbe indurre il Paese a investire molto di più nell'interscambio via mare, in grado di assorbire oggi solo il 36% del totale, rispetto al 50% di quello su strada. Auspicio non a caso pronunciato da Massimo Deandreis, direttore generale dell'SRM: "Mettiamo in risalto come la pandemia stia cambiando la geografia delle relazioni economiche mondiali, viste attraverso la lente dei traffici marittimi. Lo scontro commerciale Cina-Usa visto dalla rotta del Pacifico, il rallentamento della Belt and Road Initiative e dell'export cinese, l'impatto sul Canale di Suez e l'emergere di rotte alternative sono elementi che influenzano direttamente anche gli scenari del Mediterraneo e la portualità del nostro Paese. Siamo in una fase di regionalizzazione della globalizzazione ed emerge chiaramente l'importanza strategica di investire per una portualità e una logistica efficiente e integrata con le reti europee. L'Italia è un ponte naturale tra Europa e Sud Mediterraneo per energia e logistica. Recuperare questo ruolo è una priorità nazionale coerente con l'interesse europeo e il Recovery Fund dev'essere la spinta determinante a fare quegli investimenti che si aspettano da anni".
Il problema resta di carattere geopolitico e Suez, proprio come 150 anni fa, mette nuovamente l'Italia di fronte a un bivio: privilegiare i propri interessi nazionali rafforzando la collaborazione con Cina e Russia, oppure allinearsi a richieste atlantiche che spostano il baricentro economico lontano dai propri confini. Non avendo risorse sufficienti per dialogare sullo stesso piano con Cina o Stati Uniti, il Belpaese sarebbe chiamato a occupare un ruolo di primo piano in Europa, dov'è spesso costretto ad adeguarsi alle scelte dell'asse franco-tedesco. L'impossibilità di operare in modo equilibrato nei processi in corso - testimoniata proprio dall'assenza delle nostra istituzioni alla cerimonia sul Canale per il 150° anniversario di Suez, ma anche dall'uscita di scena in Libia e nel Corno d'Africa - fa propendere giorno dopo giorno per il peggio: un Paese sospeso in un limbo di microconflittualità, a rischio di essere fagocitato dal grande capitale o emarginato dall'economia globale.
Però io credo che nessun francese, né tedesco, né molto meno inglese potrebbe resistere. Un'accusa ingiusta che ci fanno in Europa, è che noi italiani siamo pigri, ma bisogna dire che quei nostri detrattori non sono mai stati nelle nostre campagne. All'occasione i nostri lavoranti sono attivissimi e sobri.
Manfredo Camperio, diario 2 agosto 1868
Lo storia della creazione del Canale di Suez, così come dei rapporti fra la comunità italiana ed egiziana, sono una delle chiavi di lettura indispensabili per tornare a pensare il futuro del nostro Paese. Lo hanno detto chiaramente sia Giampaolo Cantini, ambasciatore dell'Italia in Egitto, sia Davide Scalmani, direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Il Cairo, al pari di tutti gli studiosi e le autorità invitate il 17 novembre 2019 a un convegno su Suez ospitato presso l'isola di Zamalek, al Cairo. Una cerimonia "alternativa" a quella andata in scena a Ismailia, dove l'Egitto ha fatto buon viso alla Francia, ringraziandola formalmente per il contributo all'apertura del Canale, benché fosse ormai chiaro a tutti il ruolo decisivo avuto dall'Italia in passato e che di nuovo potrebbe avere oggi. Non a caso, a microfoni spenti, è stato manifestato il fastidio di dover intitolare il Nuovo museo internazionale del Canale di Suez presso Ismailia - ancora in fase di allestimento - alla figura di Ferdinand de Lesseps, anziché a Luigi Negrelli: ingegnere trentino di Fiera di Primiero, ma anche e soprattutto autentico interprete dei valori umanitari di Henri de Saint Simon, avendo scorto nel Canale un'opera finalizzata ad avvicinare i popoli e favorire la loro crescita spirituale, a differenza dell'interesse nazionalistico dell'imprenditore francese. Personalità affascinante e complessa, incompresa per decenni, ma che il convegno "Il Sogno di Negrelli" - ospitato in Trentino il 23 novembre 2019 - ha finalmente restituito alla storiografia italiana nel suo pieno nitore. "Negrelli resta ancor oggi un modello d'integrità cui guardare con profonda ammirazione - ha ricordato al Palazzo delle Miniere Roberto Pradel, presidente della Comunità di Primiero - perché si è sempre speso per una scienza al servizio dell'uomo, ponendosi al di sopra delle divisioni di confine e della mera logica del profitto. Un messaggio che traspare anche dai nuovi giardini che oggi portano il suo nome nel cuore di Primiero".
A lui, al collega bergamasco Pietro Paleocapa, alla comunità italiana d'Egitto e a Manfredo Camperio, grazie al quale l'Italia di fresca unificazione poté sentirsi per la prima volta restituita a una dimensione di respiro mondiale, è stato tributato il ricordo dell'Associazione culturale Gaetano Osculati. In occasione del 150° anniversario dall'apertura del Canale di Suez, celebrato a Zamalek, e col patrocinio di Regione Lombardia, Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, Società Geografica Italiana, Istituto di Cultura per l'Oriente e l'Occidente, nonché dei Comuni di Arcore e Villasanta, una targa memoriale bilingue è stata affidata direttamente alle mani di Mahmoud Mabruk, responsabile degli allestimenti museali per il Ministero egiziano delle Antichità. Segno di un rinnovato slancio nelle relazioni bilaterali, che ha portato fra l'altro all'avvio del recupero del vecchio consolato italiano di Port Said, con l'obiettivo di farne un ospedale al servizio del Mediterraneo. Al contempo, l'Italia si è resa disponibile a reperire documenti originali sul Canale da donare alle strutture museali di Ismailia, destinata a trasformarsi nel nuovo polo di riferimento dei traffici egiziani e dei suoi possibili flussi turistici. Temi approfonditi nella conferenza "I 150 anni di Suez e la Missione Manfredo Camperio", organizzata dall'Associazione culturale Gaetano Osculati in Villa Borromeo d'Adda ad Arcore, il 7 dicembre 2019, con la partecipazione di esperti storici come la professoressa Barbara Curli, il giornalista Marco Valle (autore di "Suez, il canale, l'Egitto e l'Italia) e lo storico Alessandro Pellegatta (autore fra l'altro di "Manfredo Camperio, storia di un visionario in Africa" e di "Esploratori lombardi", nonché assiduo ricercatore presso il Fondo Camperio di Villasanta).
Suez ha però un lato oscuro ancora tutto da soppesare. Lo spostamento del baricentro economico egiziano sul Canale comporta espropri e rilocazioni talvolta fortemente avversati dai residenti locali, come avvenuto nel 2015 per quasi 5mila abitanti del Sinai, o con l'intervento dell'esercito in occasione dell'avvio dei lavori per la centrale nucleare di Daaba. Uno studio dell'Università Akdeniz, in Turchia, ha invece confermato la rapida tropicalizzazione del Mediterraneo, per via della migrazione di quasi 100 specie marine dalle acque del Mar Rosso. Un processo favorito sicuramente dal cambiamento climatico, ma accelerato anche e soprattutto dall'osmosi dei bacini marini attraverso l'idrovia egiziana. Per riequilibrare l'habitat del Mediterraneo Orientale, la Turchia sta provando oggi a sfruttare commercialmente alcune delle specie invasive, come il gambero esotico o il pesce palla, il cui veleno è molto richiesto da aziende farmaceutiche canadesi. La maggior parte, però, genera solo scompensi ecosistemici, mettendo in crisi attività tradizionali come la pesca o il turismo. In aggiunta, ha osservato Selcuk Ayidin del TRT World Research Centre, gli investimenti cinesi nel Mediterraneo rischiano di ribaltare repentinamente equilibri geopolitici consolidatisi nel corso degli anni. Prova ne sono l'appoggio offerto all'Egitto nei rapporti con Cipro, invisi alla Turchia che pur è partner della BRI attraverso il porto di Izmir, o la ricalibrazione d'investimenti su scali fra loro in competizione, ad esempio il Pireo greco rispetto ai porti italiani, usando la leva del debito. Il dinamismo commerciale della Cina spiazza, perché a colpi di accordi bilaterali mette fuorigioco alleanze politiche e militari dall'oggi al domani.
Una volta ancora, forse, l'unica risposta possibile viene dalla grande capacità visionaria di un personaggio come Manfredo Camperio: farsi trovare pronti, quando chi ha in mano le sorti del mondo - come la moglie di Napoleone III a Suez - ha bisogno di un buon consiglio dagli esperti sul campo.
Alberto Caspani
L'imperatrice Eugenia sedette sulla schiena di uno dei dromedari ed io accorsi ad aiutarla ed avvertirla che tenesse bene il corpo all'indietro ed una mano sul panno della sella per evitare una caduta al rialzarsi del dromedario. Mi sorrise ringraziando e facendo il saluto colla cravache. Poscia diede un colpo di frustino ai lenti quadrupedi, che si misero in moto
Manfredo Camperio, diario 17 novembre 1869