"Nelle terre dei profumi e dei veleni" 

23.07.2022

Nel nuovo libro edito da Luni Editrice, Alessandro Pellegatta invita alla riscoperta dei grandi esploratori italiani del Sud-Est asiatico e porta in luce le contraddizioni dell'etnologia occidentale

Mentre la globalizzazione trapassa dal mondo fisico a quello digitale, l'esplorazione torna prudentemente sui propri passi in cerca della via perduta. "Nelle terre dei profumi e dei veleni" (Luni Editrice, 2022), nuovo studio di Alessandro Pellegatta sugli italiani che contribuirono a mappare i territori del Sud-Est asiatico fra il 1864 e il 1914, ha il grande merito di mostrare la fecondità teorica di un periodo in cui la scienza occidentale aveva ancora davanti a sé più strade da percorrere.

Idealmente la narrazione di Pellegatta, già autore apprezzato di diversi saggi sulla storia dell'esplorazione e sulla cultura del viaggio, si apre infatti nell'anno di pubblicazione in italiano dell'«Origine della specie» di Charles Darwin, il 1864 appunto (e significativamente cinque anni dopo l'originaria edizione inglese), per chiudersi alle soglie della Prima Guerra Mondiale, con l'immagine di un Giovanni Battista Cerruti - ex "re dei Sakai" - ormai morente nell'ospedale malese di Penang. La fine dell'audace ligure, il primo a documentare dettagliatamente usi e costumi del misterioso popolo Mai Darat per i monti della Penisola di Malacca, spezza un percorso antropologico sul campo che avrebbe potuto proiettare l'Italia ai vertici del dibattito scientifico, sottraendo noi tutti dalle nefaste conseguenze di quell'ideologia eurocentrica che, dritta dritta, porta all'Antropocene della Transizione.

Col suo consueto stile sobrio e scorrevole, capace in circa 170 pagine di far assaporare il gusto dell'avventura nelle biografie di Odoardo Beccari, Luigi Maria D'Albertis, Enrico Alberto D'Albertis, Elio Modigliani, Giovanni Battista Cerruti e Lamberto Loria, Pellegatta opera indubbiamente una selezione delle tante figure che contribuirono a sviluppare le conoscenze sul Sud-Est asiatico, ma riesce anche a restituire la vivacità delle voci e degli interessi della scalpitante Italia post-unitaria. Prevale, in particolare, una chiave di lettura genealogica dell'etnografia italiana che trova in Lamberto Loria ed Elio Modigliani i suoi più avanzati alfieri: l'uno impegnato soprattutto nella Nuova Guinea, l'altro nelle isole indonesiane occidentali, ma sempre in stretto dialogo con un mondo accademico che stava mettendo alla prova la teoria evoluzionistica di Charles Darwin, senza averla completamente abbracciata. Oltre ad accendere l'attenzione su personaggi chiave ma meno "visibili" come Giacomo Doria, Paolo Mantegazza o Luigi Pigorini, l'autore è poi abile nel tracciare la fitta rete di contatti e scambi che in pochi anni portò alla creazione di alcune delle istituzioni scientifiche più importanti del nostro Paese: il Museo di Storia Naturale di Genova, il Museo di Antropologia ed Etnologia di Firenze, il Museo Preistorico Etnografico di Roma.

Potrebbe sorprendere, ad esempio, riscontrare il dinamismo culturale che caratterizzava Genova e Firenze, poi gradualmente schiacciate fra i poli finanziario-politici di Milano e Roma, eppur sempre pronte a ideare molteplici spedizioni, ampliare collezioni, elaborare nuove modalità di lettura scientifica. Una biodiversità di vedute, figlia non solo delle rimosse storie territoriali antecedenti il Risorgimento, ma dell'inevitabile problematizzazione che i dati raccolti sul campo comportavano sugli irrigidimenti teorici. Enorme - e oggi non ancora sufficientemente valorizzato - è il contributo di Genova come porta d'oltreoceano distinta dalla storia mediterranea della Superba: merito anche e soprattutto di quegli intraprendenti cugini, Luigi Maria ed Enrico Alberto D'Albertis, che restituirono al capoluogo ligure la sua vocazione all'esplorazione senza compromessi, permettendo al Castello D'Albertis di trasformarsi nel sorprendente prisma di terre lontane che è oggi il Museo delle Culture del Mondo di Genova.

Non è allora un caso che "Nelle terre dei profumi e dei veleni" sia introdotto da un prezioso saggio di Francesco Surdich, già professore di Storia delle esplorazioni geografiche all'Università di Genova, nonché principale portavoce in Italia dell'urgenza di conoscere e preservare la fecondissima eredità della cultura italiana legata al viaggio. Un appello che, almeno nel contesto del Sud-Est asiatico, trova oggi un testimone d'eccezione nel professore Daniele Cicuzza, la cui ricerche botaniche traggono ispirazione proprio dall'epopea di Odoardo Beccari in Borneo.

Pellegatta coglie perciò nel segno quando individua, al termine della sua acuta e ben documentata panoramica storica, un punto di bivio fatale: "Da quei filoni ottocenteschi di ricerca, si dipanano sottotraccia due grandi vie maestre che orienteranno la riflessione sull'uomo: quella filosofico-linguistica-storica e quella quasi esclusivamente fisico-medica-biologica, che segnerà un determinismo razziale. La prevalente linea umanistica presente nel pensiero italiano (si veda, ad esempio, la Psicologia delle menti associate di Carlo Cattaneo) finirà col saldarsi con la linea naturalistica, proprio grazie a Mantegazza. "L'uomo nudo in faccia alla natura" - sono sue queste parole - diverrà oggetto di studio della nuova disciplina, che assumerà un carattere "laico e spregiudicato", aggregando al suo interno etnologia ed etnografia, da intendersi rispettivamente come studio delle razze umane e studio degli usi e dei costumi dei popoli".

Se l'autore stesso ha individuato in questo cammino un nuovo e ulteriore campo di ricerca, che lo sta spingendo a condurre studi sugli archivi italiani "occultati", la storia dell'esplorazione da lui rievocata mette in evidenza il "peccato originale" che ha portato la scienza occidentale sulle soglie del baratro odierno: l'incapacità di vedersi come uno dei possibili esiti del sapere della storia, di cui le "anomalie", le "degradazioni" o "perversioni" dei popoli indigeni, al pari del loro uso "sottosviluppato" delle risorse ambientali, sono proiezioni di una forma mentis non estintasi affatto in epoca contemporanea. Basti pensare ai continui investimenti in progetti di manipolazione della vita che, proprio nei tesori biologici delle foreste tropicali o nelle sconcertanti cure delle culture tradizionali, trovano un campo di indagine e sperimentazione ai limiti dell'annientamento di specie.

Gli esploratori italiani nel Sud-Est asiatico, pur con i mezzi e i tempi limitati a loro disposizione, hanno prodotto testimonianze che mettono in crisi una ricostruzione lineare e progressiva dell'evoluzione umana. Tale contributo è stato inoltre valorizzato dal progetto che nel 2021-2022 la Casa degli Esploratori ha sviluppato in collaborazione con ICOO Italia (Istituto di Cultura d'Oriente e d'Occidente) e il Museo dei Popoli e delle Culture di Milano, autori della mostra "Kulabob, il fratello ritrovato di Papua Nuova Guinea". Come ben si avvede Pellegatta, quando riporta l'attenzione sui complessi rapporti fra popoli del Sud-Est asiatico e dell'Australia, l'intero bacino geografico si configura come un laboratorio evolutivo troppo a lungo sottovalutato a causa dei preponderanti interessi geopolitici sul continente africano, così come delle linee abissali tracciate dall'ideologia scientifica occidentale. Eppure, Africa, Sud-Est asiatico ed Australia potrebbero lasciar emergere in futuro una correlazione assai maggiore di quanto ancora si pensi, partendo proprio da uno studio scrupoloso delle testimonianze raccolte dagli esploratori italiani: in Indonesia, ad esempio, il ricercatore Dhani Irwanto ha avanzato la stimolante ipotesi di uno stretto contatto fra l'antica civiltà egizia e i popoli indigeni dell'area di Sumatra, possibile culla della cosiddetta "Terra di Punt", attingendo in larga misura dalla documentazione prodotta da Elio Modigliani ("Sundaland, tracing the cradle of civilizations", 2019).

L'irrompere della pandemia ha sino ad ora bloccato l'evoluzione di un progetto di collaborazione avviato fra la Casa degli Esploratori e l'Ambasciata della Repubblica d'Indonesia in Italia, ma le piccole isole di Engano, Nias e Mentawai descritte da Modigliani potrebbero riservare in futuro notevoli sorprese. Analogamente, le ricerche portate avanti in Eritrea grazie alle scoperte dei fratelli esploratori Alfredo e Angelo Castiglioni, cui Pellegatta dedica con affetto il proprio libro, aprono oggi nuove e suggestive prospettive di sviluppo sulla storia del porto di Adulis.

Nella rassegna di esploratori presentati dall'autore milanese andrebbe forse aggiunto il nome di un personaggio ancora, benché solo in occasione della mostra organizzata al Museo dei Popoli e delle Culture di Milano ci si sia resi conto dello suo ruolo chiave per il dibattito evolutivo ed antropologico contemporaneo: l'italo-spagnolo Carlos Cuarteron, di cui il Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) conserva preziosissimi documenti. Al di là della sua possibile identificazione con l'autentica figura storica ispiratrice del pirata salgariano Sandokan, Cuarteron offre notevoli indizi a supporto delle possibili ricostruzioni migratorie di Homo sapiens. Grazie una volta ancora a ICOO, partner della Casa degli Esploratori, sono stati perciò avviati percorsi editoriali che in futuro arricchiranno ulteriormente la bibliografia della storia dell'esplorazione italiana, così come della storia evolutiva delle civiltà. L'opera di Alessandro Pellegatta non può che stimolare nuove suggestioni nel dibattito culturale e scientifico italiano, grazie anche a una serie di presentazioni che la Casa degli Esploratori sarà onorata di organizzare al suo fianco, oltre che attraverso un video d'approfondimento sulle spedizioni nel Sud-Est asiatico. Ma il primo passo è sempre il più semplice: lasciarsi prendere per mano dal suo racconto vivo e appassionato, andando alla scoperta di chi si celi nell'enigmatico volto con cui l'elegante libro di Luni Editrice apre un nuovo cammino.

Alberto Caspani